martedì 20 marzo 2018

Le Cinque Giornate


Nel post di un anno fa ho parlato dei segni lasciati a Milano dalle Cinque Giornate; oggi, per ricordarne il 170° anniversario, andiamo più in dettaglio negli avvenimenti…

Le barricate sul ponte di Porta Romana
Il 1848 è un anno rivoluzionario per l'Europa in tutti i sensi: Marx pubblica il Capitale e un'ondata di moti sociali e politici scuote le fondamenta della Restaurazione. In Italia non si è scordata, nel bene e nel male, l'esperienza napoleonica e si è sempre più insofferenti al dominio straniero sulla maggior parte della penisola. Negli anni '40 dell'Ottocento le idee di Mazzini sono ormai solidamente radicate in vari ambienti italiani e Verdi fa sognare con la sua musica (una per tutte il Nabucco) una patria per gli Italiani. Nel 1846 Pio IX diventa il primo papa liberale e ispira molti
Italiani a ricercare nei propri Stati le riforme a cui dà inizio nello Stato della Chiesa; sarà proprio Pio IX a ordinare arcivescovo di Milano Bartolomeo Romilli, che riporta un italiano alla cattedra ambrosiana prima detenuta dall'austriaco von Gaisruck. Gli intensi festeggiamenti all'arrivo di Romilli preoccupano gli Austriaci, che durante la solennità della Natività di Maria causano vittime fra i manifestanti troppo esultanti.

Cappello alla calabrese con coccarda
Le tensioni aumentano fino al fatidico 1848, anno in cui i Milanesi decidono di assentarsi da diversi eventi pubblici che celebrano l'Austria e di boicottare il tabacco e il lotto, monopoli imperiali che contribuivano a riempire le casse asburgiche. L'evento è chiamato ''sciopero del tabacco'', ma il 3 gennaio i soldati austriaci si scagliano contro la popolazione causando un nuovo bagno di sangue, che porta la tensione alle stelle e all'arresto o alla fuga di molti mazziniani e patrioti; a febbraio è vietato indossare simboli risorgimentali come coccarde tricolori, cappelli alla calabrese o all'Ernani (il primo è un cilindro nero che si restringe verso l'alto mentre il secondo somiglia a quello degli Alpini ma più alto). A marzo, infine tutto ha inizio: l'onda rivoluzionaria della primavera dei popoli porta le Due Sicilie, la Toscana e il Piemonte a concedere costituzioni e lo stesso succede a Vienna, dove il 13 marzo cade anche il cancelliere Metternich. Quando la notizia giunge nel Regno Lombardo-Veneto si ribellano prima Venezia, che instaura la Repubblica di San Marco, e il giorno dopo Milano (le notizie viaggiavano lente all'epoca).

Sabato 18 marzo una folla preleva il podestà (equivalente al sindaco di oggi) Gabrio Casati dal Broletto Nuovissimo (oggi il palazzo del Picolo Teatro, allora sede del comune) per portarlo dal vicegovernatore austriaco e firmare un decreto che desse l'autonomia a Milano e permettesse di creare una milizia cittadina che sostituisse la guarnigione austriaca. Intanto il comandante militare Josef Radetzky dichiara lo stato d'assedio e chiude la città nella morsa dei Bastioni; i suoi soldati si asserragliano nelle varie caserme dislocate nella città e nel Duomo, a Palazzo Reale, nell'Arcivescovado e nel Broletto Nuovissimo mentre i rivoltosi ergono le barricate nelle strette vie dell'epoca e le campane suonano a stormo per richiamare la popolazione. Alla fine i soldati devono ritirarsi nella cittadella del Castello Sforzesco con i molti prigionieri illustri tenuti in ostaggio. Nelle giornate seguenti nessuno starà con le mani in mano: gli uomini saccheggiano armerie e collezioni private per recuperare qualsiasi arma possa essere usata contro l'esercito e le donne cuciranno numerosi tricolori da esibire alla finestra e da alzare negli spazi conquistati dai rivoltosi.

Ci si arma come si può

Molte donne confezionano i tricolori

La seconda giornata vede centinaia di barricate alzarsi in tutti gli angoli della città, mentre i combattimenti continuano e i coraggiosi Martinitt portano agilmente i messaggi da una parte all'altra di Milano; i soldati asburgici, oltre a muoversi a fatica da una caserma all'altra a causa delle barricate, sono anche bersagliati dalla gente che scaglia di tutto dalle finestre e dai tetti delle case. Per evitare la cattura, la direzione rivoluzionaria si trasferisce da Palazzo Vidiserti a Palazzo Taverna. Le porte cittadine vengono prese d'assalto, ma con scarso successo.

Le barricate alle Colonne di San Lorenzo

Porta Nuova

La terza giornata comincia a dare i primi risultati: gli Austriaci lasciano il centro per potenziare le difese lungo le mura e ciò permette a Luigi Torelli, dopo l'ennesimo scontro, di issare il tricolore sulla guglia maggiore del Duomo (la bandiera si conserva ancora alla Scuola Militare Teulié e viene usata durante le commemorazioni delle Cinque Giornate nell'omonima piazza). Si forma anche il comitato di guerra, capeggiato da Carlo Cattaneo e altri collaboratori.

Corso di Porta Romana è ribattezzato Corso Pio

Il 21 marzo porta notizie positive agli insorti: il Palazzo del Genio (dove oggi c'è la Ca' de Sass) è assediato dai rivoltosi guidati dal patriota nizzardo Augusto Anfossi, che però viene ucciso nell'assalto e viene sostituito da Luciano Manara; il palazzo cade quando il coraggioso bagatt Pasquale Sottocorno, nonostante fosse zoppo, riesce ad incendiarne il portone. Oltre a questa celebre impresa, anche altre basi austriache cadono. Intanto, poiché la città è ancora chiusa dentro alle sua mura, si mandano palloni aerostatici nelle campagne per richiedere aiuto. L'ennesima buona sorpresa giunge dal re di Sardegna Carlo Alberto, che comunica che aiuterà i Milanesi, i quali intanto formano il governo provvisorio con alla sua testa Casati.

Sullo sfondo Porta Tosa e un pallone aerostatico
Il coraggioso Pasquale Sottocorno

La quinta giornata è occupata principalmente dall'assedio a Porta Tosa, stretta fra i cittadini all'interno e dai campagnoli all'esterno. Radetzki vuole lasciare Milano dalla non lontana Porta Romana ma deve lasciare un presidio alla più debole Porta Tosa per coprirsi la ritirata. L'esito dello scontro è altalenante infatti, se da una parte Manara ne brucia il portale conquistandola brevemente, dall'altra gli Austriaci riescono a recuperarla e a tenerla fino alla fine dell'evacuazione notturna (aiutata tra l'altro dai cannoneggiamenti provenienti dal Castello Sforzesco). L'indomani non ci sono più imperiali a Milano e le fortificazioni sono in mano alla popolazione.

Porta Tosa data alle fiamme
La campana civica, spezzata dai continui rintocchi
Le Cinque Giornate finiscono qui, ma nel corso dell'estate i Savoiardi entreranno in città dando inizio alla prima guerra d'indipendenza. Gioberti, Mazzini e Garibaldi risiedono per un certo periodo proprio in città, ma la sconfitta piemontese a Custoza mette fine a questa fase: Carlo Alberto, che all'armistizio risiede a Palazzo Greppi, viene duramente contestato dai Milanesi a causa della pace con l'Austria, che riporta Milano sotto il suo controllo il 6 agosto. Per precauzione, Radetzky farà costruire un forte all'esterno di Porta Tosa.

Proclama del governo provvisorio
Oggi i cannoni tacciono
Le Cinque Giornate non sono solo una momentanea liberazione di Milano dalla plurisecolare occupazione di una potenza straniera: esse sono anche un preludio alle guerre risorgimentali che creeranno l'Italia come Stato unitario e mostrano come lo spirito dell'epoca fosse pronto ad unirsi per cercare di realizzare ideali liberali: non è un caso che ogni fascia di popolazione vi prendesse parte con nobili e contadini, borghesi e popolani, donne e uomini, bambini e anziani e anche disabili e Italiani di altri Stati. 

Approfondimenti

Le 5 giornate: i fatti
Cronologia di Milano dal 1841 al 1850
I martiri della rivoluzione lombarda

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