venerdì 3 febbraio 2017

Il caso dei facchini a Milano



L'arca di sant'Aquilino
Se nell’ultimo post abbiamo parlato dell’origine romana della cappella di sant'Aquilino, questa volta ricorderemo che il santo a cui la cappella è dedicata è anche il patrono dei facchini.

All’inizio dell’XI secolo questo canonico tedesco fu trafitto alla gola da alcuni catari, contro i quali aveva l’abitudine di predicare; il martire fu ritrovato in una roggia da un gruppo di facchini, che lo portarono con un corteo guidato dall’arcivescovo nella cappella, che all’epoca era dedicata a san Genesio. Da quel giorno il santo è patrono dei facchini e il 29 gennaio (giorno dedicato al santo) si organizzava la processione patrocinata dalla corporazione facchini della Balla; questa partiva dalla scomparsa Sant’Ambrogio alla Palla (in via san Maurilio, dove era stato trovato il corpo) e giungeva a San Lorenzo, dove era offerto un otre d’olio per
tenere accese le candele della cappella. La processione non era particolarmente solenne, ma sfarzosa e chiassosa, perciò altri cortei a cui partecipavano i facchini o altrettanto festivi venivano chiamati facchinate. Anche se oggi la processione non esiste più, un delegato del sindaco di Milano partecipa alla messa nello stesso giorno e offre comunque dei ceri. La nicchia in cui riposa l’arca argentea del santo è opera di Carlo Garavaglia, mentre l’affresco murale è di Carlo Urbino e le decorazioni sulla volta di Gabriele Bossi e Giuseppe Galberio.
La processione del 1937

Altre facchinate degne di nota furono quella del Cavallazzo, nata nel 1319 quando i Pusterla ottennero la chiesa di San Tranquillino (da loro poi dedicata a san Sebastiano, nome che conserva ancora oggi). Un corteo portava in processione un cavallo composto di cibarie e partiva dalla chiesa diretta verso il duomo, dove veniva distribuito alla gente. Particolarmente lunga e sfarzosa fu anche la facchinata del 1771, per celebrare le nozze del figlio di Maria Teresa d’Austria e governatore di Milano Ferdinando d’Asburgo-Este con Maria Beatrice d’Este. Il tipico corteo di carri, figuranti, danzatori e facchini (coi loro abiti grigio cenere, grembiuli ricamati con fili d’oro e d’argento, vistosissime penne sul cappello, maschere e sacchi bianchi sulle spalle) si diresse da porta Ticinese a porta Romana attraversando la città tra festeggiamenti ed eccessi.

Autoritratto di Lomazzo in veste di nabàd
Sebbene i facchini svolgessero mansioni particolarmente umili ed essi stessi venissero dalle zone più povere e remote dell’allora ducato (come la Valle Intrasca, oggi in Piemonte settentrionale, o la Val di Blenio, nel Canton Ticino), la loro corporazione godeva di influenza e certi privilegi. Questo non risparmiò loro comunque una delle più curiose parodie dell’epoca: l’Accademia dei facchini della Val di Blenio, o Magnifica Badia. Questa era una confraternita che riuniva sotto pseudonimi molti artisti e letterati milanesi dell’epoca, che organizzava burle ed eventi artistico-letterari imitando la dura parlata dei facchini originari della Val di Blenio. L’esponente più importante del circolo è il suo altrettanto peculiare nabàd (abate) compà Zavagna, al secolo Giovanni Paolo Lomazzo, che ci ha lasciato un ottimo esempio dei suoi insegnamenti e composizioni nella raccolta Rabìsch (ossia “arabeschi”).

Approfondimenti

Ricerche storico-critico-scientifiche... 
Rabisch 

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